martedì 12 dicembre 2017

critica della ragion pratica

Nelle società attuali si risente enormemente di un'assenza di critica.
Lamentele e rimproveri, colpevolizzazioni e proteste si succedono e si accavallano, ma mai un vero accenno di critica vera.
Riscontro poi che più si abbassa il tasso della critica e più si alza quello delle cosiddette criticità.
Tutti non fanno altro che parlare di criticità, di qua e di là.
Perchè si usa questa parola? Per non dire altro.
Per non dire crisi, disastro, fallimento, catastrofe.
Ma anche già solo al posto di parole meno forti, come problema o squilibrio.
Già le temiamo, anche queste ormai, se dette apertamente. Troppo conflittuali.
Invece, criticità piace.
Dà l'idea (falsa) che si tratti di un affare da poco, limitato nel tempo, circoscritto, casuale, non strutturale, sempre risolvibile.
Il che evita eccessivi patemi d'animo o l'intrapresa di azioni collettive, di critica, né tantomeno di lotte.
Insomma è una parola-anestetico, un'ipotesi dormitiva in piena regola.

Ma le criticità, chiamiamole pure così, in questo mondo sono tante e crescono di numero, di intensità e di frequenza.
Non c'è situazione che non viva e non conosca oggi le sue criticità.
Dovrebbe far ridere dire che la giustizia penale e le carceri, il sistema scolastico ed universitario, il circuito finanziario e le banche oggi soffrano di alcune criticità.
Oppure che la situazione climatica o del Medio Oriente presentino alcune criticità, come continuano a dire gli esperti e i giornalisti in tv.
Oppure che la relazione tra cittadini e stati e democrazie sia giunto a un punto critico.
Eppure non ridiamo, li prendiamo sul serio, in apparenza.
Ma sappiamo, nel profondo che le cose non stanno così.
Se stessero così, non spenderemmo decine di miliardi per fare guerra, risistemare istituzioni, tappare falle, respingere milioni di uomini e donne ai confini, organizzare spettacoli ed eventi sportivi.
Non ci sarebbe bisogno di tutto questo impegno, di tutti questi immani sforzi di compensazione, per i quali -come gli schiavi delle piramidi- consumiamo gran parte del nostro tempo, delle nostre risorse, e -in sostanza- la nostra vita.

Il nostro mondo avrebbe bisogno di riconoscere che non di criticità politicamente corrette si tratta, ma di tragedie, violenze, discriminazioni, umiliazioni, morti, distruzioni, assurdità.
Politicamente scorrette, sì, ma solo queste sarebbero le parole giuste per dirlo, per descrivere sinceramente quel che stiamo combinando nel mondo e del mondo.
Se fossimo ancora capaci di criticarlo (e -non azzardo neppure a dire- di trasformarlo)...








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