giovedì 17 agosto 2017

fight club

Agli inizi dell''800 l'infanzia era stata celebrata come epoca di purezza e innocenza, ma negli anni novanta prevalsero interpretazioni più inquietanti. Per coloro che si erano lasciati influenzare dalle teorie di Lombroso i bambini erano essenzialmente creature inferiori, più primitive che incontaminate.
'Naturalmente, considerato il modo in cui è strutturato, il bambino è più vicino all'animale, al selvaggio, al criminale, di quanto non sia un adulto, scrisse Havelock Ellis in The Criminal (1890)- I bambini sono per natura egoisti; commettono ogni sorta di atrocità, talvolta al solo scopo di amplificare la propria egoistica soddisfazione'.
Nel 1883 il celebre psichiatra J. Crichton-Browne invitava i genitori a 'ricordare che i bambini non sono ometti e donnine del XIX secolo, ma versioni purissime di antenati remoti, pieni di capricci e impulsi selvatici, e di selvatici rudimenti di virtù'.
H. Maudsley, l'altro psichiatra di spicco dell'epoca, nel 1895 scrisse: ' Date a un neonato il potere fisico equivalente alle sue passioni e potrebbe rivelarsi più pericoloso di una bestia selvaggia'.

Queste visioni, tratte da un bel libro di Kate Summerscale, Il ragazzo cattivo, ovvero delitto, castigo e redenzione di Robert Coombes, che ha ripreso una storia vera di una coppia di ragazzini che uccidono a coltellate la madre nel sonno e poi se la tengono in casa, proseguendo a vivere come se niente fosse, ci riportano al primo stereotipo che ci coglie ogniqualvolta ci ritroviamo davanti ad episodi come quello del pestaggio di Nicola nella discoteca-monstre di Lloret del Mar.
L'idea è quella che chi fa cose del genere (picchiare, seviziare, pestare, uccidere, soprattutto se in branco) ritorna ad uno stadio infantile, bestiale, primitivo, fuori dalla civiltà.
Viene facile pensarlo e dirlo, soprattutto di fronte all'evidente idiozia e insensatezza dell'aggressione.
Ma purtroppo le cose non stanno così.
Per poter far quello che hanno fatto i tre ragazzi ceceni, altre che una buona dose di infantilismo selvaggio certo, di totale analfabetismo affettivo ed emotivo, ci vogliono anche altre esperienze ben più sociali, e tipiche della nostra presunta civilizzazione: in primo luogo l'esperienza della guerra e della violenza (ed in Cecenia mi pare che non siano mancate loro le occasioni per farla di continuo); con la conseguente convinzione, difficile da togliere, che con la brutalità, le torture, le coercizioni, le bombe, si possano ottenere -e soltanto così- grandi risultati.
E con la a sua volta conseguente convinzione che sia meglio armarsi, attrezzarsi, palestrarsi, muscolarsi e imparare a difendersi, e quindi, se necessario, a saper attaccare e uccidere.
Non è questa forse la cultura dominante di moltissimi maschi oggi ?
Più si sentono deboli e indifesi dentro, più si barricano dietro tartarughe addominali e flessioni ed MMA (Mixed Martial Arts).

Team domination.
E' il nome della palestra.
E' il classico dojo come ce ne sono centinaia nella California del Sud.
Era partito come un dojo di karate, poi si era trasformato in una scuola di kenpo. E quando era scoppiata la moda delle arti marziali miste (MMA), aveva spostato l'enfasi su di esse.
Boone ha una discreta conoscenza dell'ambiente delle arti marziali a San Diego, perchè è un mondo in stretto rapporto con quello del surf... Il fatto è che i surfisti in genere sono ipercinetici con una bassa soglia di attenzione, e hanno bisogno di costante movimento. Meglio ancora se il muoversi include anche un po' di pericolo, come per esempio il rischio di prendersi un pugno sul naso o un calcio in faccia...
Cosa succede se...un pugile combatte contro un karateka?
Gli istruttori di arti marziali asiatiche erano piuttosto arroganti sui risultati di un ipotetico match, sicuri che il loro candidato, con calci veloci e pugni dala potenza devastante, avrebbe facilmente messo al tappeto il pugile, lento e unidimensionale.
Non andò così.
La prima volta che qualcuno riuscì a organizzare questo match di pere e mele, il karateka fece partire un calcio, il pugile lo prese sulla spalla, penetrò nella guardia dell'avversario e lo mise al tappeto a pugni. La comunità delle arti marziali restò sbigottita.
Ora la saggezza comune proclamava che le 'arti' erano una bella cosa per insegnare la disciplina ai ragazzi e per rassodare i glutei delle donne, ma in una rissa da strada o nel classico parcheggio deserto erano del tutto inutili, il trionfo dello stile a scapito della sostanza.
La risposta arrivò sotto la sigla MMA. I dojo cominciarono a insegnare un po' di tutto. I ragazzi volevano studiare jujitsu, boxe, wrestling, kickboxing, muay thai, in una combinazione che avesse un senso. Sempre più palestre che in passato offrivano una disciplina unica si stavano spostando verso le MMA per sopravvivere.
Per esempio, il Team Domination.
(Don Winslow, L'ora dei gentiluomini, 2012)

Le palestre di lotta sono oggi un luogo di addestramento paramilitare, spesso intessute a idee e proclami neonazisti, razzisti e misogini.
Tutto questo non ha nulla a che vedere con un ritorno allo stato selvatico o all'infanzia.
O forse soltanto all'inverso: non potendo più vivere quotidianamente almeno una parte della nostra selvaticità e della nostra infanzia, ce la finiamo ad addestrarci per dare e prender colpi, a soffrire per godere e a godere facendo soffrire.
Ritorna, insomma, il visionario e profetico Fight Club di Chuck Palaniuk.

Ma quel che mi colpisce in quel che è accaduto in Catalogna qualche notte o alba fa non è soltanto e soprattutto quel che hanno combinato i tre ceceni.
E neppure il non intervenire delle persone intorno: si sa che più sono le persone che assistono ad un evento violento e minore è la possibilità che qualcuno intervenga a fermarlo.
Ognuno pensa che lo farà qualcun altro, e -quasi sempre- nessuno lo fa.
D'altra parte, le persone intorno non erano meno fatte, sfatte e finite di quelli che picchiavano.
E non è facile avere una coscienza morale o civile, quando sei ridotto a brandelli da droghe e alcool.
Bastava vedere le scene di Ferragosto sulle spiagge, ad es. di Gallipoli, quel maniacale agitarsi di corpi e braccia a suon di techno, quello sbattimento lowcost che ripaga migliaia di giovani da mesi di frustrazioni da lavoro e da non lavoro, quella disperazione agitata del nulla che li divorava freneticamente nell'estasi del consumo di se stessi.
Provavo orrore e terrore per me, disperazione per loro.

Quel che colpisce non è il fatto che stessero a guardare, come davanti ad uno spettacolo.
Che cosa stiamo facendo noi tutti, d'altronde, dinanzi alle violenze, alle segregazioni e alle torture in corso, che noi stessi perpetriamo per interposta mano, contro i migranti, se non stare a guardare inermi, intontiti e attoniti ?
Che cosa facciamo quando i bulli sono gli Stati, le polizie, gli eserciti, i servizi segreti (vedi il caso Regeni) ? Altro che i tre porcellini ceceni...!

No, quel che mi ha colpito terribilmente è il fatto che molti ragazzi lì intorno filmassero e mandassero in rete la scena, mentre uno di loro veniva ucciso di botte.
(vedi anche sui giornali di oggi:http://www.unionesarda.it/articolo/cronaca/2017/08/17/spagna_cucciolo_di_delfino_muore_tra_i_selfie_dei_bagnanti-68-634527.html
Pochi di loro avrebbero fatto lo stesso: agire non rientra nei loro parametri di vita, e neppure picchiare. Sono perlopiù ragazzi gentili, educati, civili (per quanto drogati di musica e coca).
Ma amano l'estasi della violenza, se altri te la offrono, si sentono vivi se la guardano, si mettono a fare i filmini per essere simultaneamente spettatori, registi e protagonisti virtuali della vita di altri.
Ed eccoci qui, tra passività e aggressione, tra indifferenza e spettacolo.
La nostra vita etica si svolge tra questi due estremi oggi, con un buco grande in mezzo.
E generazioni intere allo sbando.
Per non parlar dei grandi.








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