martedì 11 luglio 2017

in girum imus nocte



'Non fare lo stupido -gli rispose sua sorella, anche se già cercava di reprimere un sorriso.
Lui stava pensando a un gioco che avevano inventato da bambini: ridere a comando, ma in maniera spontanea, senza senso. Avevano usato quello stratagemma per sfuggire ai compiti, per poter uscire prima dalla messa. Lavorandoci sodo e con dedizione avevano sviluppato e perfezionato quella capacità: rotolarsi sul pavimento sghignazzando, tenendosi la pancia come pazzi, prima di andare dal dottore o di intraprendere qualche viaggio di famiglia, oppure la mattina di un compito in classe per cui non avevano studiato.
Nessuno dei due ricordava come fosse nato, ma a causa di quel gioco erano stati puniti in molte occasioni, nonostante si fingessero sempre innocenti. Non riusciamo a resistere, dicevano, sempre ridendo, le lacrime a lambire l'angolo degli occhi, fino a quando le loro rimostranze non li avevano portati a una seduta settimanale collettiva da uno psicologo infantile.
Anche dopo tutti quegli anni erano entrambi orgogliosi di non essersi mai traditi a vicenda...

La piazza di T era semplice, relativamente ben tenuta, e pittoresca...
L'Hotel Imperial occupava il lato sud della plaza... Nell'albergo c'erano anche l'unico ristorante e l'unico bar del paese, una piacevole terrazza dove ho trascorso molte serate ad ammirare la piazza sonnolenta. Il mio momento preferito della giornata era subito dopo il tramonto, quando la luce del giorno svaniva dietro la cresta occidentale e si accendevano i quattro lampioni della piazza. Quei minuscoli boccioli di luce arancione mi riscaldavano: erano così piccoli e il buio così immenso.
Mi piaceva restare seduto lì a guardarli, abbracciando con gli occhi quello spazio dove non sembrava accadere mai nulla.
Devo ammetterlo: la stessa calma oppressiva che avevo detestato da piccolo, ora la trovavo quasi affascinante.
Ma che aspetto ha il niente ?

Quando finalmente arrivò la madre di Rogelio, o meglio, quando gli fu portata davanti, si stupì nel constatare quanto fosse piccola. Ricordava che Rogelio gliela aveva descritta come una donna dalla presenza imponente, con un carattere imperioso e una voce tonante, capace di spaventare gli uomini; ma il tempo aveva cancellato tutto quanto e ciò che restava era qualcosa di più leggero e più dolce. La pelle chiara era quasi trasparente e coperta di rughe intricatissime, come un foglio di stagnola accartocciata e poi spianata di nuovo con la mano. I capelli sottili erano diventati completamente bianchi ed era avvolta in una decina di strati, uno scialle sopra un maglione sopra una camicetta a maniche lunghe sopra un altro maglione. Portava calzettoni di lana al ginocchio sovrapposti a un paio di pantaloni della tuta e, sopra ancora, una gonna blu che le arrivava a metà polpaccio.
Apparteneva a una generazione e a una cultura che avevano il massimo rispetto per il freddo, una cultura che non si fidava del calore, ma lo considerava solo un'illusione sporadica e passeggera.
Il freddo è permanente, eterno, affidabile. Il freddo segna l'inizio e la fine di ogni giornata...

Da 'Di notte camminiamo in tondo' di Daniel Alarcòn (2013).
Il titolo riprende la famosa frase palindroma (cioè che si può leggere anche alla rovescia)
In girum imus nocte et consumimur igni
(Andiamo in giro la notte e siamo bruciati, consumati dal fuoco),
che è anche il titolo di un piccolo libro di Debord.
Non a caso Alarcòn ha tratto un'epigrafe proprio dalla Società dello spettacolo :

L'esteriorità dello spettacolo in rapporto all'uomo agente si manifesta in ciò, che i suoi gesti non sono più suoi, ma di un altro che glieli rappresenta. E' la ragione per cui lo spettatore non si sente a casa propria da nessuna parte, perchè lo spettacolo è dappertutto.

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