mercoledì 24 maggio 2017

eh no, sui bambini non si può...!

Molti hanno difficoltà a riconoscere che possiedono qualcosa soltanto perchè ad altri la stessa cosa è negata: che possono provare piacere solo a condizione che qualcun altro soffra.
E' matematico: se qui c'è abbondanza, vuol dire che là c'è scarsità.
Tutto quel che abbiamo lo abbiamo tolto, e in questo preciso momento lo stiamo togliendo a qualcuno.
In buona misura i divertimenti di una parte dell'umanità sono resi possibili dalla sofferenza e dalla miseria della parte restante.
In linea di massima questa miseria è sottratta alla vista di chi gode: il privilegio consiste appunto nella facoltà di allontanare da sè coloro la cui sofferenza permette il proprio godimento: ville e club esclusivi vengono costruiti apposta per separare le due categorie umane, lasciandone fuori la più numerosa e recintando quella più fortunata dietro barriere invalicabili.
L'abuso sessuale (e l'attentato terroristico ? ndr), al contrario, mette bruscamente in contatto la persona che gode con quella che soffre per assicurargli un godimento.
In un abbraccio forzoso si incastrano chi è accresciuto dal privilegio e chi da esso è scemato.
Contrariamente al caso dei bambini fabbricatori di palloni da calcio, che stanno in capo al mondo a cucire cuoio mentre noi intanto palleggiamo al circolo sul Tevere, nello stupro (e nell'attentato terroristico, ndr) non vi è alcuno schermo o distanza. Tra tutti gli esercizio di potere, è il più diretto.

(Edoardo Albinati, La scuola cattolica, 2016, p.873)

Non è probabile che quelli dell'Isis abbiamo letto 'La società dello spettacolo', ma -dal loro agire- parrebbe di sì.
Quel che è accaduto a Manchester ieri ci ricorda infatti ancora una volta (ma ancora una volta faremo finta di non vedere e di non sapere e di non capire, utilizzando tutti gli strumenti di copertura a nostra disposizione: indignazione, rabbia, amore universale, preghiere e guerre...) che il nostro distrarci e divertirci e rintontirci (di suoni, parole, gesta, eroismi sportivi e non, contatti virtuali,droghe, sentiment e lavoro...) è soltanto il nostro modo di coprire la violenza e il dolore che viviamo in profondo, quasi di nascosto, e che facciamo vivere -apertamente- a tre quarti del mondo.
Che tutto questo vociare ed esaltarsi nello spettacolo serve a mandare al macello intere generazioni di bambini, adolescenti e giovani, sperando che esse non se ne accorgano sino all'ultimo, ritenendo che proteggerle dal dolore e dalla consapevolezza sia il modo migliore di proteggerle dal male e dalla morte.
Situazioni come quelle di ieri svolgono quindi una funzione, purtroppo, rivelativa.
Non ci si può sottrarre alla violenza in un mondo come questo, e nessuno può considerarsi innocente, nemmeno un bambino. La verità è spiacevole, ma per me è questa, e va detta.

La dolce gattina Ariana Grande (molto ariana e grande stupidina) aveva intitolato il suo tour Dangerous Woman. Ed in effetti è pericoloso seguirne le gesta, i cui effetti sulla psiche infantile sono paragonabili a quelli di una bomba (seppur solo di idiozia).
Ma una cosa è lo spettacolo del pericolo, l'esibizione finta e consumata per gioco su un palco a pagamento; una cosa è trovarsi davvero nel pericolo (come i bambini di Aleppo e Mosul che non vanno a concerti e feste da una vita, e come i bambini di Manchester, per qualche secondo od ora, tra una festicciola e l'altra).
Queste giovani generazioni sono molto probabilmente destinate ad una nuova strage degli innocenti.
Ed ancora una volta non sono i nemici o i terroristi di turno a determinarla, ma i loro stessi governanti, educatori, genitori.
La nostra civiltà non ne sta uccidendo 22 o 100 in un giorno, ma a milioni ogni giorno e giorno per giorno.
E' il nostro stile di vita, sono le nostre scelte di consumo, è il nostro modo di vivere a generare morte, distruzione, inquinamento, guerra e terrore.
Ma viviamo, ed educhiamo i nostri figli, come se non fosse così.
E per questo, dentro la loro esistenza (e forse anche della nostra), saranno ancora una volta spazzati via dalla guerra.

Che male fa una come Ariana ? Che male avevano fatto quei bambini uccisi ? Che male c'è a divertirsi e ad ascoltare musica ? Che male c'è a mettersi le orecchiette da gatto e ballare ?
Il simbolo delle orecchiette nere si è già trasformato in simbolo di lutto, subito riutilizzato dai media e dai social. Ritrasformato in simbolo di unione, seppure nel lutto e nella morte.
Ed è proprio lì il problema, in una unità, una fraternità che vale solo per noi, e che esclude tutti gli altri.
E se in tanti non si divertono, e ci vedono divertirci, possono arrivare a pensare che l'unico modo che hanno per divertirsi è quello di farci smettere il divertimento -almeno per un attimo- e di ammazzarci.
E di ammazzarci i nostri bambini, così come noi -seppure per interposta persona e neppure facendoci saltare direttamente in aria- facciamo con i loro.










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