martedì 22 novembre 2016

o esauriu...!

L'esausto è molto più dello stanco...Lo stanco ha esaurito solo la messa in atto, mentre l'esausto esaurisce tutto il possibile. Lo stanco non può più realizzare, ma l'esausto non può più possibilizzare...Esaurisce quel che nel possibile non si realizza. Mette fine al possibile, al di là di ogni stanchezza, 'per continuare a finire'...
L'esaurimento: le variabili di una situazione si combinano a condizione di rinunciare ad ogni tipo di preferenza, a qualsiasi organizzazione di obiettivi, a ogni forma di significato. Non è più per uscire o per restare, e non ci si serve più dei giorni e delle notti. Non si attua più, benchè si compia.
Non siamo nemmeno passivi: anzi, ci diamo da fare, ma per nulla.
Eravamo stanchi di qualcosa, siamo esausti di niente.

Durante il viaggio appena concluso (è bello ora potersi godere la solitudine e il silenzio della mia casetta, sentire solo il rumore della strada o il vorticare della lavatrice...), Vivi mi ha fatto conoscere questo libretto di Deleuze, uno dei suoi ultimi scritti, 'L'esausto', scritto nel 1992.
Dedicato a Beckett, ma in cui abbiamo ritrovato assonanze evidenti anche con Bacon e, seppure forse all'inverso, con Gehry e Gaudì, tre protagonisti di questo viaggio.
Ma pure con quel fantastico quadro di Anselm Kiefer, ammirato al Guggenheim, 'Il rinnovato ordine della notte' del 1997, in cui un uomo fa il morto, disteso e immobile, sotto l'immenso arco stellato, buio e vuoto del cielo.

Mi ricollego ora ad alcune riflessioni emerse poco prima di dormire, qualche notte fa, sul rapporto tra tecnologia e sacro: quel che in Gaudì ancora appare connesso e riconnettibile (e questo si realizza compiutamente nella sempre incompiuta Sagrada Familia), negli altri appare invece irrimediabilmente e ineluttabilmente, irreversibilmente scisso, strappato, spappolato, liquefatto.
Il nesso è perduto per sempre.
Gaudì appare ancora un uomo dell'Ottocento, nel suo tentativo mistico di ritrovare un'alleanza architettonica tra le polarità dell'umanesimo religioso e del razionalismo tecnocratico.
Gehry appare ancora un uomo del Novecento, nel suo tentativo acrobatico di riconnettere il titanio con la luce, il cemento e il vetro con l'enormità del nulla dello spazio terribilmente e magnificamente aperto.
Magari sono stanchi, provati, cercano la loro energia nella natura e nel cosmo, forse non più negli uomini.
Provano a trasferirla in arte, colori, forme geometriche, numeri, slanci di pietra e cemento.
Bacon, Beckett, Kiefer appaiono già oltre, esauriti ed esausti.
Se vi è ancora mistica è solo del dolore e della disperazione.
Se vi è colore o linguaggio, è colore e linguaggio impossibile, e dell'impossibile, ormai.

L'immagine è un soffio, un fiato, ma spirante, in via d'estinzione. L'immagine è quel che si spegne, si consuma, è una caduta. E' una pura intensità che si definisce come tale per la sua altezza, cioè per il suo livello sopra lo zero, che descrive solo cadendo...E' in questo senso che l'immagine concentra un'energia potenziale, che trascina con sé nel processo di autodissolvimento. L'immagine annuncia che la fine del possibile è vicina, per il personaggio di '...nuvole..' .come per Winnie che sentiva uno 'zefiro', un 'soffio' subito prima del buio eterno, la buia notte senza uscita.
Non c'è più immagine, come non c'è più spazio: al di là del possibile non c'è che il buio, come nel terzo e ultimo stato di Murphy, dove il personaggio non si muove più in spirito, ma è diventato un atomo indistinguibile, abulico, 'nella tenebra della libertà assoluta'.
E' la parola della fine, 'nessun modo'...

'In nessun modo meno. In nessun modo peggio. In nessun modo niente. In nessun modo ancora.'

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