venerdì 10 luglio 2015

podio del trittico

In questo anno, tra maggio e luglio, non posso non ricordare tre anniversari, dolorosi, spigolosi, ma anche perfetti, tondi tondi.
Si tratta di tre morti: vent'anni fa moriva, impiccandosi ad un albicocco, Alex Langer.
Dieci anni fa, mia sorella si gettava da un settimo piano e ci lasciava molto precocemente, a 42 anni.
Un anno fa, mentre mi trovavo in Cambogia, si è spento gradualmente, a causa di un tumore e per consunzione, mio padre.
Modi diversi di morire, vite diverse, ma accomunate da questi tempi, da certe proporzioni del tempo (20, 10, 1), da ritmi che sento comuni dentro di me.

Dalla morte di Alex ho imparato ancor più che dalla sua vita, pur grande: ho imparato che non ci si può far carico del mondo intero, che non si può stare al crocevia di tutti i dolori del mondo.
Perchè l'arco di ognuno -a un certo punto-si spezza.
E che per amore della giustizia si può finire per non essere giusti verso di sè.

Dalla morte di Titti ho capito che potevo proseguire a non accontentarmi della vita, ma che dovevo rinunciare al mito (materno) che ci accomunava, quello della perfezione.
Sento che non ci sono ancora riuscito, ne sento spesso il peso -soprattutto in amore-; forse non ce la farò mai a liberarmene del tutto, ma proseguo a lavorarci sopra.

Mio padre, morendo, mi ha detto di andare, da solo, nel mondo, definitivamente, per quel che potrò.
Per quanto sappia di non essere solo, di avere intorno e dentro di me molte persone che mi hanno amato e che mi amano, ho saputo -una volta per tutte- che la mia famiglia d'origine si era spenta, che io restavo l'ultimo pezzettino di quella storia, amorevole, terribile, perversa e tenera...

La società, l'arte, la cultura, la civiltà intera sono solo scappatoie, un unico, gigantesco autoinganno il cui scopo e di farci dimenticare che incessantemente cadiamo attraverso l'aria e ci avviciniamo ogni istante di più alla morte...La brevità della vita non doveva paralizzarci ma spronarci a vivere in modo fluido e intenso. Il compito della morte era di costringere l'uomo all'essenzialità. (S. Lindqvist, Sterminate quelle bestie, p.121)

L'accumulo di significato è direttamente proporzionale alla presenza della morte e alla forza della decadenza (W.Benjamin, Conversazioni private, p.123)

Noi non siamo in potere d'alcuna calamità finchè la morte è in poter nostro (Th. Browne, Religio medici, p.70)

Voglio soltanto che il mio ultimo pensiero si esprima sino all'estremo, devo aver cambiato idea. E' tutto. Mi comprendo. Se la vita venisse meno, lo avvertirò.
(S. Beckett, Malone muore, p.210)

Si possiede un futuro finchè non si apprende di non averlo. La rimozione della morte è la volontà di vivere.
(H.G.Gadamer, Dove si nasconde la salute, p. 73)

Non è infrequente che siano proprio gli anziani, se gliene si dà l'occasione, ad aiutare i medici dicendo che non hanno più voglia di combattere. Spesso, tuttavia, accettare questo tipo di resa è più difficile per chi resta. C'è un enorme bisogno di riformulare il concetto di abbandono.
(Iona Heath, p. 55)

Ricordo un'anziana signora: suo marito era morto durante la notte, ma lei non chiamò il dottore fino alla mattina dopo. Spiegò che aveva dormito rannicchiata contro il suo corpo per cinquant'anni e desiderava stargli accanto un'ultima notte. Era una forma di commiato graduale e misurato...
(idem, p.68)

(tutte le frasi sono tratte da Iona  (Modi di morire, 2008),medichessa generale che ho appena letto grazie a Viviana, mia medichessa generale e particolare)


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