lunedì 11 novembre 2013

se fosse sempre agosti...


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Dov’è la vittoria? – Silvano Agosti e “la demenza incurabile del sentirsi italiani”

Pubblichiamo la prima di dodici interviste di Paolo Barbieri a personaggi dell'arte e della cultura in genere per cercare di raccontare la situazione del nostro Paese. Ogni settimana un nome, ogni settimana un punto di vista sul declino dell'Italia e sulle possibili vie d'uscita

Dov’è la vittoria? – Silvano Agosti e “la demenza incurabile del sentirsi italiani”
Autore cinematografico, poeta, scrittore. Silvano Agosti si sente sicuramente a disagio in questa classificazione nei ruoli, avendo tra l’altro chiesto (inascoltato) da anni all’Unesco di proclamare l’essere umano patrimonio dell’umanità. L’Essere Umano, in quanto «massimo capolavoro della natura», infatti non può essere ingabbiato in un ruolo. Nato a Brescia 75 anni fa, dopo aver girato il mondo, vive da tempo a Roma. Tra le sue opere letterarie più significative figura Lettere dalla Kirghisia: il racconto di un paese immaginario «ma assai possibile da realizzare», dove si lavora tre ore al giorno, dove i politici si occupano del bene pubblico ma in forma volontaria e dove le persone hanno il tempo di vivere e non solo di esistere.
Quanto è lontana oggi l’Italia da quel paese?È la parola oggi che mi fa sorridere. In poche parole riassumo il percorso della mia emotività. Sono nato in una città di 300mila abitanti che si chiama Brescia e da bambino e da ragazzo mi sono accorto che la chiamavano città ma non lo era. Era un agglomerato di chiese e di banche, di mercati e di negozi ma io pensavo che nella città abitassero cittadini e che il comune si adoperasse per renderli felici, invece non era così. Nessuno si interessava dei cittadini, interessavano i compratori o i clienti delle banche. Allora sono andato via a visitare il mondo. Ho deciso di abitare a Roma pensando che, essendo una metropoli, fosse più vicina a quella che io credevo fosse una città. Invece anche qui mi sono accorto che c’erano tonnellate di monossido di carbonio che riempivano le vie, tutti sottomessi al giogo di lavorare otto, nove, dieci ore al giorno. Ho capito che Roma non era altro che Brescia che avevo lasciato cinque anni prima, ma più grande. Dopodiché ho pensato di abbandonare il concetto di città e di abitare l’Italia. Ma ho scoperto che l’Italia non esisteva. Esisteva uno strano feudo dominato da quattro o cinque cosche tutte a carattere mafioso ed era pilotato dall’esterno da una grande potenza straniera che non nomino e che domina tuttora. Allora ho pensato all’Europa, cioè alla possibilità di sentire che qualcuno si occupasse del mio benessere e che come cittadino venissi valutato per la mia preziosità e non per la mia spendibilità. Purtroppo anche l’Europa si è di rivelata come un’accozzaglia di mercati che si basa sullo spread, sul Pil. Finalmente sono approdato al pianeta Terra in concomitanza del famoso afflusso di una nuova cultura planetaria. Lì mi sono fermato. Oggi penso di abitare su un pianeta che e mi è molto più simpatico di tutti gli Stati occidentali e orientali messi insieme.
L’essere umano non è mai al centro. È questa, secondo lei, la malattia dell’Italia?Al centro non c’è l’essere umano ma l’imbecillità burocratica. La malattia è di non essere sé stessi ed è la malattia che hanno tutti gli esseri umani. Sono tutti murati vivi nei ruoli. Esistono migliaia di ragionieri, avvocati, mariti, direttori generali, muratori, artisti, papi, registi, attori, elettori, ma l’essere umano dov’è? Io non lo incontro mai se non nei bambini di età inferiore ai tre anni.
La corruzione dilaga nonostante le inchieste. Agli italiani manca il senso del bene comune?Non è che gli manca. Gli italiani hanno un problema e cioè non hanno alcuna certezza di poter mangiare bene e di poter dormire al caldo. Quando gli italiani, ma vorrei dire quando tutti gli esseri umani, avranno la certezza di poter mangiare in qualsiasi ristorante due pranzi al giorno e di avere una casa che gli viene regalata o data in dotazione a diciotto anni, allora, ma solo allora il ladro sarà veramente ladro, l’assassino veramente assassino e l’accumulatore di ricchezza si rivelerà per ciò che veramente è, un malato mentale.
Grazie alla cultura cattolica e socialista, l’Italia ha coltivato la solidarietà. Da anni però sembra prevalere l’egoismo. Quando è successo?Non si può dire che prevale l’egoismo quando un essere vivente non ha la certezza del cibo e del sonno …
Faccio un esempio: i leghisti che si schierano contro gli immigrati…Il leghista è una versione rozza di una persona disperata che non ha vergogna di dire che non ha alcuna certezza. Poi ci sono le persone eleganti che non avendo nessuna certezza del cibo e del sonno accumulano denaro e si chiamano banchieri. Sono tutti sostanzialmente dei dementi dal punto di vista animale. L’essere umano è il massimo capolavoro che la natura ha concepito in cinque miliardi di anni, ma nessuno lo sa, né si tratta come un capolavoro. Questo essere umano viene distrutto scientificamente dalla scuola, dal lavoro coatto, dalla famiglia nucleare, dalla mancanza d’amore. Amore nel senso di tenerezza. Non esiste nessuno che faccia veramente l’amore. Il potere concede la procreatività, cioè il ballonzolare per un po’, come fanno vedere i film americani, sul corpo di una donna e poi metterla incinta così hanno il grande padronato ha dei piccoli nuovi servi. Ma se la gente potesse fare l’amore anche una sola volta nella vita, l’imbecillità diventerebbe così visibile da non poter più esistere.
Lei si sente italiano?Sentirsi italiano sarebbe un livello di demenza addirittura incurabile.
Cosa si può fare? Ribellarsi?Ogni persona deve prendersi la responsabilità globale di ciò che sta accadendo (morti per immigrazione, guerre, armi chimiche) e scacciare dalla propria personalità tutti quegli elementi emotivi, culturali che assomigliano in modo allarmante al potere che gestisce il mondo.
Pasolini scrisse nel 1975 un articolo sulla scomparsa delle lucciole come fine di una certa civiltà contadina. «Darei l’intera Montedison per una lucciola…» scrisse. Lei cosa darebbe?Darei la mia intera felicità perché Pasolini fosse riuscito a capire che i miti sulla civiltà contadina erano da snob. Pasolini era un piccolo borghese affascinato dall’ideologia comunista, suo papà era colonnello. La civiltà contadina? Mi fa ridere, i contadini erano sfruttati fino alle lacrime dagli agrari, non sono mai esistiti i contadini. In realtà si chiamavano famigli ed erano degli eterni precari. Ogni autunno dovevano migrare in un altro fondo, sempre nell’incertezza, sempre nella fame.
Cosa pensa dei giovani italiani?Li osservo, sono generalmente disperati, smarriti, sono senili nel dedicarsi ai vizi che lo Stato propone ai giovani: alcool, fumo e discoteche. Sono dei relitti smarriti. Questi ipocriti degli adulti, che siedono nei governi, sono anche peggio. Siccome non riescono a garantire il presente dicono che ai giovani bisogna assicurare il futuro. Io ho ribrezzo per l’ipocrisia perché è l’arma più tremenda che offusca il mondo. Molto più potente della menzogna, perché distrugge la vita

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