lunedì 4 novembre 2013

a tutte le salme parlanti (io compreso)

Tentò la fuga in tram 
verso le sei del mattino 
dalla bottiglia di orzata 
dove galleggia Milano 
non fu difficile seguirlo 

il poeta della Baggina 
la sua anima accesa 
mandava luce di lampadina 
gli incendiarono il letto 
sulla strada di Trento 

riuscì a salvarsi dalla sua barba 
un pettirosso da combattimento 

I Polacchi non morirono subito 
e inginocchiati agli ultimi semafori 
rifacevano il trucco alle troie di regime 
lanciate verso il mare 

i trafficanti di saponette 
mettevano pancia verso est 
chi si convertiva nel novanta 
ne era dispensato nel novantuno 

la scimmia del quarto Reich 
ballava la polka sopra il muro 
e mentre si arrampicava 
le abbiamo visto tutto il culo 

la piramide di Cheope 
volle essere ricostruita in quel giorno di festa 
masso per masso 
schiavo per schiavo 
comunista per comunista 

La domenica delle salme 
non si udirono fucilate 
il gas esilarante 
presidiava le strade 
la domenica delle salme 
si portò via tutti i pensieri 
e le regine del ''tua culpa'' 
affollarono i parrucchieri 

Nell'assolata galera patria 
il secondo secondino 
disse a ''Baffi di Sego'' che era il primo 
si può fare domani sul far del mattino 
e furono inviati messi 
fanti cavalli cani ed un somaro 
ad annunciare l'amputazione della gamba 
di Renato Curcio 
il carbonaro 

il ministro dei temporali 
in un tripudio di tromboni 
auspicava democrazia 
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni 
voglio vivere in una città 
dove all'ora dell'aperitivo 
non ci siano spargimenti di sangue 
o di detersivo 
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade 
eravamo gli ultimi cittadini liberi 
di questa famosa città civile 
perché avevamo un cannone nel cortile 

La domenica delle salme 
nessuno si fece male 
tutti a seguire il feretro 
del defunto ideale 
la domenica delle salme 
si sentiva cantare 
quant'è bella giovinezza 
non vogliamo più invecchiare 

Gli ultimi viandanti 
si ritirarono nelle catacombe 
accesero la televisione e ci guardarono cantare 
per una mezz'oretta 
poi ci mandarono a cagare 

Voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio 
coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio 
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti 
per l'Amazzonia e per la pecunia 
nei palastilisti 
e dai padri Maristi 
voi avete voci potenti 
lingue allenate a battere il tamburo 
voi avevate voci potenti 
adatte per il vaffanculo 

La domenica delle salme 
gli addetti alla nostalgia 
accompagnarono tra i flauti 
il cadavere di Utopia 
la domenica delle salme 
fu una domenica come tante 
il giorno dopo c'erano i segni 
di una pace terrificante 
mentre il cuore d'Italia 
da Palermo ad Aosta 
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta

(F. De Andrè, La domenica delle salme, 1990)

Così commenta e ricorda Mauro Pagani, autore della musica:

« Quando il disco fu terminato Fabrizio se lo portò a casa e dopo qualche giorno mi telefonò.
«Manca qualcosa, è tutto bello ma un po' troppo leggero, manca quello che pensiamo davvero di tutto questo, manca quello che purtroppo ci è accaduto». Così qualche giorno dopo partimmo per la Sardegna, e dopo aver fatto il pieno di bottiglioni di Cannonau ci nascondemmo all'Agnata, la sua tenuta in Gallura. Faber tirò fuori uno dei suoi famosi quaderni, e le cento righe di appunti quasi casuali, raccolti in anni di letture di libri e quotidiani, in tre giorni diventarono la descrizione lucida e appassionata del silenzioso, doloroso e patetico colpo di Stato avvenuto intorno a noi senza che ci accorgessimo di nulla, della vittoria silenziosa e definitiva della stupidità e della mancanza di morale sopra ogni altra cosa. Della sconfitta della ragione e della speranza.
Credo che nel testo de La domenica delle salme ci sia tutta la grandezza di Fabrizio narratore. Ci sono tutti gli elementi per capire, ma tutto è raccontato, non ci sono sintesi o giudizi, che, come lui diceva spesso, nelle canzonette sono peccati mortali. La visione del tutto scaturisce dalla somma di tante piccole storie personali, nessuno grida in quella ridicola tragedia. Nessuno punta il dito, tutto si spiega da sé.
E nell'elenco dei patetici fallimenti, come tutti i grandi Faber non dimentica il proprio e quello dei suoi colleghi canterini, giullari proni e consenzienti di una corte di despoti arroganti e senza qualità. »

1 commento:

  1. Siamo gli uomini vuoti

    Siamo gli uomini vuoti
    Siamo gli uomini impagliati
    Che appoggiano l’un l’altro
    La testa piena di paglia. Ahimè!
    Le nostre voci secche, quando noi
    Insieme mormoriamo
    Sono quiete e senza senso
    Come vento nell’erba rinsecchita
    O come zampe di topo sopra vetri infranti
    Nella nostra arida cantina

    Figura senza forma, ombra senza colore,
    Forza paralizzata, gesto privo di moto;

    Coloro che han traghettato
    Con occhi diritti, all’altro regno della morte
    Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime
    Perdute e violente, ma solo
    Come gli uomini vuoti
    Gli uomini impagliati..
    Siamo gli uomini vuoti

    Siamo gli uomini vuoti
    Siamo gli uomini impagliati
    Che appoggiano l’un l’altro
    La testa piena di paglia. Ahimè!
    Le nostre voci secche, quando noi
    Insieme mormoriamo
    Sono quiete e senza senso
    Come vento nell’erba rinsecchita
    O come zampe di topo sopra vetri infranti
    Nella nostra arida cantina

    Figura senza forma, ombra senza colore,
    Forza paralizzata, gesto privo di moto;

    Coloro che han traghettato
    Con occhi diritti, all’altro regno della morte
    Ci ricordano – se pure lo fanno – non come anime
    Perdute e violente, ma solo
    Come gli uomini vuoti
    Gli uomini impagliati..

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