venerdì 30 agosto 2013

lettere di dimissioni

Mi sono reso conto che, per caso ma forse no, ho portato con me in viaggio tre libri che parlano di dimissioni.

'Lettera di dimissioni' di Valeria Parrella, racconta di una donna appassionata e impegnata da sempre, in politica, nel teatro, nella cosiddetta società civile che, davanti all'Italia di oggi, per quel che è diventato il mondo intorno, prova a resisterci 'dentro', ma a un certo punto si arrende e manda una lettera di dimissioni.
Lascia il suo incarico di sovrintendente teatrale, ma la lettera è anche il segno evidente di un suo ritirarsi da tutto quel che ha fatto nella sua vita precedente, nella consapevolezza che -ad un certo punto- non collaborare col male è l'unica possibilità davanti all'impossibilità di cambiarlo.

'Invecchiando gli uomini piangono' di Jean-Luc Siegle è la storia di un operaio Michelin, di mezza età, alla fine degli anni 60.
Invecchiando, inizia a sentire, a commuoversi nei suoi rapporti col vivente: con la madre vecchia, con il figlio maschio, con la moglie. Inizia a sentire che ha dedicato la sua vita a qualcosa di meno importante (il lavoro, i compiti, i ruoli sociali e familiari, le norme...), rispetto a quel che ha trascurato e che non conosce (le emozioni, le relazioni, le storie, le letture...). Tutto questo inizia ad entrare nella sua vita, proprio quando sente di essere stanco di tutto, di essere alla fine della sua prima vita.
Poco prima di dimettersi da essa, poco prima di impiccarsi.

'Bartleby e compagnia' di Enrique Vila-Matas (lo stesso autore di 'Un'aria da Dylan'), rappresenta la summa invece di tutti coloro che, per un motivo o per l'altro o senza un motivo apparente, si sono dimessi dal (o non si sono mai messi a) fare quel che -secondo altri- sarebbero stati bravissimi a fare.
E' un antologia, un florilegio di fallimenti volontari, di rinunce insensate (per il mondo), di un ritrarsi precoce ed improvviso dall'azione, dalla produzione, dal completamento, dalla prosecuzione.
Un'uscita dal mondo, senza se e senza ma, accampando spesso alibi creativi, o senza neppure ricorrere a questi, ma manifestando soltanto un senso della vanità del tutto, dell'insensatezza di qualunque gesto pubblico, del rifiuto di qualunque parvenza di esibizione o distrazione.
Aristocraticamente fieri della propria ritrosia, del proprio 'chiamarsi fuori', della propria diversità senza integrazione, della propria renitenza e diserzione senza appello.

Tre nuovi stimoli per il mio nuovo libro, quello che non scriverò: 'Fare il morto', ed. Nihil Vendola, Kiribati, 2014.

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