venerdì 23 novembre 2012

il momento è delicato

Sto leggendo un libro di racconti di Ammaniti, 'Il momento è delicato'.
Niente di particolare, ma carino, come è tipico suo.
Meno carina la Ministra dell'Interno Cancellieri: sia per le apparenze di corpo e voce, da vero uomo o, se preferite, da vera dama di ferro, sia per quel che dice con quella vociaccia: 'Il momento è molto, molto delicato. Ci attendono tempi davvero difficili, mesi in cui ci prepariamo a forti disordini. Un avvertimento: gli alti Palazzi della Democrazia sono inviolabili!...'.
Si inizia a cantare la canzoncina: 'E se domani, e sottolineo se...all'improvviso, sprangassi me, avrò arrestato il mondo intero, non solo te...'
Uomini avvisati, mezzo salvati, insomma.

Non a caso, direi.
Allo stato (allo Stato), infatti, restano solo guerra e repressione.
La confusione cresce, il caos avanza, a tutti i livelli.
Ora, ad esempio, dopo aver fatto casino per mesi sul Monti bis, finalmente ha fatto chiarezza (sui suoi desiderata, e non solo sulle leggi) il solito Napo Orso Capo: non si può candidare, perchè l'ho già eletto io (senatore a vita) e lo rieleggerò io (Primo ministro o mio successore alla Presidenza della Repubblica).
Traduzione: agitatevi pure con primarie e giochi elettorali,  ma i giochi sono già fatti, per quel che mi riguarda.
La ressa degli statisti intorno a lui ammutolisce, il CentroDestra perde un candidato e ritrova in un colpo solo Padre e Nonno.
Nel frattempo, la CGIL non riesce a firmare il nuovo patto per la produttività (leggi: precarietà e ulteriore discrezionalità nel mercato del lavoro). Bonanni e i suoi amici, invece, lo firmano insieme a padroni e banche.
Loro sì che hanno le idee chiare, nessuna confusione: rappresentano solo se stessi e vanno così, sperando che i loro elettori continuino a tacere.

Ma , a proposito di confusione grande, ieri ho assistito al più confuso e inutile Consiglio di Dipartimento della mia (ancor breve) vita universitaria. Una discussione fiume, senza capo nè coda.
Per demerito del Direttore e di vari colleghi frustrati e chiassosi, ma anche e soprattutto della confusione procedurale, legislativa e burocratica della riforma e dei suoi nuovi ordinamenti.
Infatti, leggo sulla mail che anche in altre sedi, grande è la confusione sotto il cielo.
Una collega prof.ordinaria scrive:
Gentili colleghi,
i tempi cambiano. I criteri di ripartizione delle premialità parlano  
chiaro: c'è bisogno, anzitutto, di docenti che si incarichino di  
compiti istituzionali che comportano una gestione burocratica al  
limite della sostenibilità, se non oltre. L'abbiamo constatato, ultimo  
esempio, nella terza riunione del corso di laurea cui appartengo, dove  
per la terza volta non è stato possibile arrivare ad una decente,  
chiara e semplice formulazione dell'offerta didattica, perché bisogna  
fare conti incrociati e formalizzati tra corsi dipartimenti e facoltà,  
tra intersezioni dei precedenti tre, problemi che sono discussi ad  
almeno 4 livelli base (corso, dip., fac., commissioni varie perché i  
primi tre non bastano). Si aggiunge il problema dei pensionamenti che  
sta diventano un problema di vita e di morte (per l'università, i  
singoli scapperanno a gambe levate se possono). Oltre ad essere stato  
avvilente per i partecipanti, il coordinatore era esausto, reduce di  
una serie di riunioni precedenti dove non si è concluso un bel niente  
se non che i conti sono molto complicati e lo saranno ancor di più. La  
stessa cosa due anni fa per il coordinatore di dottorato, che doveva  
lottare con le scartoffie e con la dimostrazione di una serie dei  
famosi requisiti di sostenibilità. Sono queste, come tante altre,  
procedure irragionevoli nel loro sovradimensionamento (per evitare la  
parola 'folli') che però non si possono contestare, tanto meno da  
parte di chi le assume e gestisce, per cui lui/lei/loro vanno premiati  
(altrimenti non lo farà nessuno). La premialità diventa così anche un  
mezzo di cooptazione a sostegno della macchina burocratica, che  
implica anche modi di vedere ben precisi (tanto per evitare la parola  
ideologia). Niente di nuovo sul piano storico.

Per la produzione scientifica mi sembra che il criterio sia chiaro: si 
premia chi ha portato soldi nelle casse d'ateneo (la famosa capacità  
di attrarre finanziamenti; beato chi ce l'ha; ma: tutto si impara se  
il gioco deve essere condotto così).

Cordialmente, Marinella Lorinczi



O sentite che scrivono al capo dell'ANVUR i colleghi ricercatori Merafina e Monaco (due mooolto diplomatici, da sempre...):

Egr. Prof. Fantoni,
        premesso il riconoscimento per l'estrema fatica che il suo compito richiede, vorremmo farle presente alcune obiezioni circa le modalita' di valutazione e di formazione delle graduatorie per l'abilitazione a professore di I e II fascia.
        Siamo certi che il problema le e' ben noto, ma non e' possibile, riteniamo, eluderlo ulteriormente. Il riferimento e' al fatto che l'uso esclusivo, o in gran parte prevalente, dei criteri bibliometrici sia una forma non del tutto corretta e spesso ingiusta di selezione.
        In questi decenni, i ricercatori si sono dovuti quantomeno sdoppiare per svolgere i propri compiti di ricerca perche' al tempo stesso, sono stati reclutati per compiti didattici e, laddove indispensabile per lo svolgimento delle attivita' universitarie legate alle discipline mediche, per compiti di assistenza. Ma e' anche evidente che il ruolo universitario presenta delle sfaccettature che altri settori non hanno. E cosi' un universitario, finora, ha dovuto fare ricerca, didattica e assistenza e questo ha sempre distinto il ricercatore universitario, qui inteso in senso lato, da quello, ad esempio, dell'industria privata. Molte delle funzioni suddette, non erano opzioni, o meglio, lo erano solo sulla carta: chi vive da molti anni all'interno degli Atenei lo sa benissimo. Si aggiunga a cio' che una quota consistente di docenti ha svolto per anni, se non decenni, compiti istituzionali legati alla partecipazione in commissioni, senati accademici, consigli di amministrazione, presidenze di corsi di studio, di specializzazioni, ecc., che, seppure non obbligatori, hanno fatto parte dell'impegno profuso per il funzionamento dell'universita'.
        Ma allora come e' possibile che si possa cancellare, con un colpo di spugna, l'importanza di tali attivita' indispensabili per la vita degli atenei, all'interno dei criteri di valutazione? E' chiaro che esistono situazioni differenti e casi limite all'interno della nostra istituzione e, senza voler dare alcun giudizio di valore, esiste chi ha scelto di seguire la propria vocazione di pura ricerca, magari in una universita' prestigiosa straniera, e chi ha scelto di lavorare tra i "miasmi" burocratici dell'amministrazione universitaria, penalizzando cosi' il proprio curriculum scientifico. C'e' chi svolge il proprio lavoro all'interno di uno studio con l'unica necessita' di un computer, chi invece nello studio non riesce neanche ad entrare perche' oberato continuamente da compiti didattici (che necessariamente non si limitano alle sole lezioni), attivita' di ricerca e compiti istituzionali.
        Ora e' certo che la vita riserva a ciascuno di noi il proprio cammino ma, all'interno di qualunque carriera possibile, bisogna assolutamente riconoscere il lavoro, l'impegno e la fedelta' profusi in favore e all'interno dell'Universita' italiana. E tutto questo dovrebbe essere considerato con attenzione da coloro i quali sono a capo dell'istituzione universitaria, pena la demotivazione o, peggio ancora, lo snaturamento delle funzioni istituzionali all'interno degli atenei. Purtroppo e' proprio il contrario cio' che e' gia' sotto i nostri occhi: articolifici, esasperate cordate alla ricerca dell'ultima citazione, una sorta di "ultima Thule" nella quale riciclarsi con una nuova "verginita'" mostrando pero' quella profonda debolezza dei singoli e di tutto il sistema che, ancora una volta, non apprezza quasi per nulla chi ha lavorato per esso, ma premia soprattutto chi e' molto furbo e lavora solo per se', con tutti i distinguo del caso.
        E' proprio impossibile fare diversamente da quanto si fatto e si continua a fare? Forse sara' difficile, ma fare le cose giuste non e' mai stata cosa facile.

Intanto, corsi di studio che cercano di non chiudere a discapito di altri corsi, soldi che vanno di là e quindi non di qua, regole discrezionali e incerte, università private e di eccellenza che fanno quel che vogliono mentre il resto va a ramengo...Lotta tra poveri, competizione senza scampo e senza soldi...
Insomma, anche qui: si continua a blaterare sul valore dello studio e della ricerca, ma -intanto- la si manda volontariamente e premeditatamente a rotoli.
Si fanno già i pronostici su chi ce la farà e chi no.
E i governanti ridono, e procedono a svuotare quel che resta.

Sì, il momento è delicato.
Ed anche il nostro orifizio sottostante.
Ma loro, con ombrello (alla Altan) o penna (alla Vauro), procedono a penetrarci, verso punti sempre più profondi e dolorosi. E quasi non ci lamentiamo più.
E se ci lamentassimo, tanto poi, alla fine, ci pensa la Cancellieri...!
Cosa ci vuole? Si fa come in Val di Susa o a Genova: zona rossa, manganelli, cariche, servizi segreti, false bombe,vere mafie e via andando, come sempre è stato nel nostro paese.
E ovviamente, alla fine di tutto, il disfattista e irresponsabile sono io...





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