sabato 13 ottobre 2012

RIEN NE VA PLUS (LES JEUX SONT FAITS)




Tutto è diventato talmente complicato che, per raccapezzarsi, ci vorrebbe uno spirito eccezionale.
Non basta più, infatti, giocare bene il gioco. La questione è un'altra e torna incessantemente a riproporsi: questo gioco, ora, lo possiamo giocare davvero ? Ed è davvero quello giusto ?
(L.Wittgenstein)


E' inutile negarlo: quel che si respira nelle nostre società è un'aria da 'fine del gioco'.
Si ha la netta sensazione che qualcosa di importante sia giunto al termine e, che -al di là dell'agitarsi convulso delle metropoli e dei mercati (ma forse proprio dentro e per questo stesso agitarsi) - una lunga fase storica stia tramontando.
Sembra di avere davanti un paziente che, pur tenuto in vita dalle macchine, sappiamo già 'clinicamente morto'. Il problema è che quel paziente siamo (anche) noi.
Come alla fine dell'Impero Romano o per la 'finis Austriae', seppure diversi e ammodernati, i segnali ci sono tutti, e da tempo.
E mai come oggi tornano di moda nuovi millenarismi, con le consuete parole e premonizioni, suggestive e potenti: apocalisse, catastrofe, fine del mondo.
E, come è sempre accaduto nella storia umana, si diffonde il timore che non ci possano essere altri modi di vivere e di stare nel mondo, altri futuri, futuri altri.
Proverò in questo breve saggio a leggere questa fase a partire da un taglio inconsueto, proseguendo così sul filo rosso avviato in un mio più corposo testo del 2007 (1): quello del gioco.
Descriverò, cioè, la catastrofe in corso a partire da categorie e parametri tipici di quella che in quella sede ho iniziato a definire ludetica (un'etica-estetica che trae dal giocare ed esprime nel giocare le sue visioni ed i suoi ideali teorico-pratici).


LA FINE DELL'IL-LUSIONE

Soltanto chi lascia il labirinto può essere felice.
Ma soltanto chi è felice può uscirne.
(M. Ende)

Quel che un filosofo ludetico riscontra oggi è in primo luogo un forte calo della motivazione a giocare, una demotivazione preliminare a 'mettersi in gioco', una perdita di fiducia preventiva nel senso e nel valore del giocare, una fine dell'il-lusione appunto.
Moltissimi esseri umani sono oggi esclusi dal gioco stesso: milioni di persone nel mondo non possono neppure 'entrare allo stadio', altri hanno il pass ma possono solo fare da spettatori; altri ancora stanno sul terreno di gioco ma sono relegati (e forse per sempre) in panchina, ad attendere il loro turno.
E' difficile chiedere motivazione e vitalità a chi non può neppure provare a giocare.
Se la trovano, sarà per dedicarsi ad altri giochi (ad es. drogarsi, studiare da fanatici religiosi, affiliarsi alla mafia, allenarsi per diventare kamikaze o quantomeno per distruggere vetrine, incendiare cassonetti o cabine telefoniche...).
Se invece viene loro consentito l'accesso al campo le persone iniziano a giocare, ma come senza crederci: il gioco viene giocato sì, ma automaticamente, senza voglia, senza interesse, senza prospettive. Depressivamente, direi.
E' facile vederlo oggi negli occhi degli studenti, quando vengono a lezione o a chiedere la tesi: magari sono stati efficienti e rapidi nel laurearsi, sono interessati a vari argomenti e testi, appaiono intelligenti e preparati sull'esame specifico, ma....i loro occhi – se sai vederlo, se hai la forza di vederlo- ci dicono, disperatamente: 'che senso ha tutto questo, cosa c'entra con la mia esistenza più profonda, verso dove mi sto muovendo, che ne è delle mie vocazioni e della mia libertà...?'.
Perchè le loro espressioni e le loro domande sono, in tempo di catastrofe, e seppur tacitate, anche le nostre (che, per merito, per sorte, o anche solo per età, stiamo -almeno per ora- 'dall'altra parte'...).
Il peggior nemico del gioco, come si sa, è proprio colui che gioca senza coinvolgimento.
Chi lo fa smonta il gusto di giocare e di chi gioca accanto a lui molto più di uno che si rifiuta di giocare e sta fuori ed anche più di uno che gioca barando (e che, almeno, è davvero -seppur perversamente- coinvolto).
Ma un filosofo ludetico a questo punto non può non chiedersi: perchè?
Da dove deriva questa 'apocalisse del senso' che ci attanaglia e ci toglie la vita, ci fa perdere il desiderio e lo slancio, non ci permette più di coltivare l'il-lusione ?

Proviamo a rispondere: perchè in questo gioco si bara. E non barano soltanto e soprattutto i giocatori (il che potrebbe 'far parte del gioco'), ma barano proprio quelli che hanno fatto le regole, le propongono e le impongono, ergendosi a loro garanti.
Il banco, insomma.
Non mancano esempi di stringente attualità e non vale la pena di enumerarli tutti: ma fatti come la trattativa Stato-Mafia, la corruzione ed il peculato nei partiti politici, la nauseabonda e vuota retorica della 'meritocrazia' e della 'giustizia uguale per tutti' ci stanno davanti agli occhi ogni giorno e non rappresentano più 'episodi', ma veri e propri 'assetti strutturali', regole coperte ma essenziali del gioco sociale in corso.
Ma come si può essere motivati a giocare un gioco in cui le regole sono contraffatte ed infrante da chi dovrebbe garantirle (direttori, mediatori, arbitri) ?
E come si può credere che possa esserci fiducia collettiva e condivisa in un sistema che premia i bari e umilia gli onesti, ed in cui si sa già all'inizio 'chi vincerà' ?
E come si può pensare che i bari non crescano, per numero e perfezionamento dei loro metodi ?
Infatti crescono, e guadagnano in potere e denaro, e proprio per questo vanno a gestire il banco e il doppio sistema delle regole (sia quello formale che quello coperto).

Ma la catastrofe in corso, valutata da un esperto di ludetica, presenta dei livelli di degrado ancora più profondi, allarmanti e demotivanti.
Non ci troviamo soltanto di fronte ad un gioco in cui si bara di volta in volta, nei singoli giochi.
No, è il giocare stesso ad essere truccato.
Nel senso che i giocatori non seguono neppure le regole delle regole, le premesse costitutive e dichiarate del loro giocare, la loro epistemologia profonda.
Diciamo di seguirle (e continuiamo a parlarne diffusamente, a scriverne, a far convegni e lezioni...), ma facciamo altro, anzi esattamente l'opposto.
Parliamo di democrazia mentre la trasformiamo in oligarchia; parliamo di pace ma facciamo la guerra permanente; parliamo di ecologia ma inquiniamo il pianeta come non mai; continuiamo ad insistere su lavoro e denaro, ma senza elargirli (una sorta di tossicodipendenza ad astinenza garantita!); blateriamo di cittadinanza e costruiamo assistenzialismo e utenza; invitiamo all'autonomia e alla libertà, ma condizioniamo ed omologhiamo gli immaginari e puniamo le persone che -nonostante tutto- riescono ad essere critiche ed assertive...
Anche qui si potrebbe proseguire nell'elenco, purtroppo.
Le cose vanno avanti così, il gioco procede.
Ma per quanto ancora, e con quali giocatori, e con quale livello di motivazione ?
Perchè quando si mangia la foglia, e si scopre che il gioco è truccato, i giocatori onesti, proprio quelli che amano il gioco ed il giocare, si sentono traditi, ed escono dal gioco.
E restano sul campo, a giocare, solo i bari e i barbatrucchi.
Quando questo accade, quando un sistema non è più credibile in sé e non è più possibile credere che sia possibile riformarlo o rifondarlo dall'interno, allora siamo entrati nella fase della sua catastrofe.
E ci siamo, direi, oggi.
La catastrofe non è qualcosa che deve avvenire in futuro, è già qui tra noi, si muove nelle nostre vite e ci attraversa. Basta solo vederla. Ma...

MOSCA CIECA

Può essere, molto semplicemente, che non si voglia credere alla catastrofe, già ampiamente provata, perché è più comodo ingannarsi, illudersi. Oggi sembrano tutti sopraffatti dal fascino dell'autoinganno. E finiscono per voler lucrare anche sul proprio funerale
(A. Zanzotto)

Ci sarebbe, a questo punto, da aspettarsi un'aperta ammissione di fallimento che ci permettesse di giungere ad un condiviso 'fermo gioco!'; ci sarebbe da sperare in una fase di transizione che preveda confronti e conflitti aperti su 'come cambiare gioco';si potrebbero ipotizzare scenari alternativi e iniziare a sperimentarli, magari su scale piccole, ma significative.
Un filosofo ludetico (ed anche un uomo di scienza tradizionale, coerente con i suoi dettami sperimentali) proverebbe a fare così.
Ma non farebbero i conti con il 'gioco dei giochi', con la grande 'col-lusione' che ci avvolge, e che rende decisamente improbabile una 'via d'uscita non catastrofica dalla catastrofe'.
Da un punto di vista ludetico, infatti, ci si viene invece a trovare davanti ad una evidente e condivisa mistificazione: sarebbe come immaginarsi un gioco di nascondino in cui chi cerca finge di non vedere le persone nascoste e fa come se niente fosse. O un gioco di acchiappare in cui chi scappa mette le bende agli occhi di chi rincorre. Tutto pare trasformarsi in un grande mosca cieca di massa (ma forse, anche qui, fingendo di non riconoscere chi hai beccato...!).

1 commento:

  1. Ciao Enrico,
    non c’è bisogno di dire che leggerò con avidità queste nuove riflessioni ludetiche. Mi vengono già alcune domande e considerazioni e, dato che dopo aver azzeccato il consiglio su Vilas-Mata mi sono molto ringalluzzito, le faccio subito.
    Dici che la perdita di fiducia preventiva nel senso e nel valore del giocare è dovuta al fatto che in questo gioco si bara. E barano proprio quelli che hanno fatto le regole e che dovrebbero garantirle, configurando in questo modo un assetto strutturale diverso con delle regole coperte ma essenziali.
    Domanda: il concetto di “barare” prevede una volontarietà che a me non pare di riscontrare in questi soggetti, anche loro mi sembrano parte del gioco, pedine non (più?) in grado di definirne le regole. Dico questo perché secondo me c’è il rischio di portare il confronto su un livello sbagliato, focalizzandosi su obiettivi definiti e identificabili (politici corrotti ecc…) e alimentando un antagonismo che non esce dalle premesse di questo gioco truccato.
    Ho in mente in particolare una frase, che credo essere di Gandhi, che dice: bisogna combattere l’antagonismo, non l’antagonista. Questo sposterebbe la partita su un terreno di gioco che mi viene da definire “mentale”. Una non collaborazione prima di tutto con un certo sistema di pensiero, che forse potrebbe farci smettere di girare a vuoto dentro il labirinto (se fosse il nostro stesso girarci dentro, il nostro credere nel labirinto, che ce lo fa vedere?).
    Mi viene in mente una scena di Matrix: Neo viene portato dall’Oracolo per capire se è veramente l’eletto e via discorrendo. Nella sala d’attesa ci sono tipi stravaganti che hanno lo stesso appuntamento. Neo si ferma a guardare un bambino rasato e in tunica bianca che piega un cucchiaio con il pensiero, lo raddrizza allo stesso modo e poi glielo porge. Lui ci prova a sua volta ma niente, chiaramente. Allora il bambino gli dice:
    “non cercare di piegare il cucchiaio, non è possibile. Concentrati piuttosto sulla verità”.
    “Quale verità?” chiede Neo perplesso.
    “Che non c’è nessun cucchiaio”.

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