martedì 17 gennaio 2012

fare i conti col passato

18 settembre 1985

un giorno come tanti, in fondo...
eppure, oggi è avvenuto un fatto importante per me: mi sono licenziato.
di questi tempi può apparire una scelta pazza e incosciente: ho un pò di paura, l'ammetto, ma mi sento finalmente libero di saltare oltre la cattedra, di abbracciare i ragazzi, di provare a inventare altre storie...
la scuola è allo sbando ed io potevo scegliere di barcamenarmici dentro, senza più convinzione alcuna e senza speranze, soltanto perchè  'è un lavoro'. Ma stamattina, nel vedere questo ennesimo primo giorno di banchi e circolari e regolamenti, ho sentito che dovevo lasciare.
che in questo momento, per me, era la cosa più dignitosa e più vera.
e che il rischio futuro valeva la candela.

voglio provare a lavorare, vivere, pensare diversamente.
voglio darmi più tempo per studiare, leggere, scrivere, viaggiare, conoscere le infinite vaietà del mondo. senza troppi patemi, spero, nè tempi eccessivamente forzati.
meglio ridurre i bisogni e i consumi che continuare a regalare troppe energie al moloch-denaro che ci avvolge e, qualche volta, ci toglie il respiro...

un abbraccio
enrico

Questa lettera agli amici, scritta (con il mio primo computer, un Compaq 386 di seconda mano) quando mi sono licenziato dal Liceo Linguistico Segni, mi riporta alla terza grande svolta della mia vita.
Secondo la mia ricostruzione attuale, la prima è il trasloco da Carbonia a Cagliari (1976) e la seconda è Comiso (1982). E questa lettera si riallaccia molto bene alla svolta in corso dal 2008 (che è la quinta, considerando Genova (2001) come quarta).
Svolta che posso chiamare 'della Catastrofe' e che inizia a delinearsi con il suicidio di mia sorella (2006) e 'Casca il mondo!' (2007).

Ieri è stata una giornata in cui ho dovuto-potuto-voluto-saputo fare i conti col passato.
Dopo quasi quarant'anni, mi ha telefonato per un aperitivo la mia compagna di banco delle scuole medie, Graziella. Ovviamente, non ci siamo riconosciuti, di primo acchito.
Me la ricordavo alta, magra e crespa, l'ho ritrovata bassa, grassa e liscia.
E provo ad immaginare cos'abbia provato lei a cercare di rivedere in me l'Enrico di ieri.
Ma poi, a pranzo, ci siamo messi a parlare e a ricordare, come quando stavamo in 2.a B, dietro a Carla e Lorena e davanti a Salvatore e Antonio. Mi sono tornati in mente i visi dei compagni, mentre Graziella (che ancora vive a Serbariu, dove abbiamo fatto insieme anche le elementari), mi raccontava di che vita hanno fatto, di lavoro, e figli, e malattie...

Quando mi ha chiamato, stavo usando il trapano per installare delle scaffalature nel ripostiglio: la carta è troppa in casa e, per quanto me ne liberi, mi sta soffocando.
Ho rivisto cartelle e documentazioni del passato, le lastre che precedettero di poco la morte di mia madre, lettere di mia sorella, scritti giovanili, regali di ex fidanzate (pensare che si aggiravano per casa, solo pochi anni fa...!): archivi sepolti da tempo, distanti ma ancora pulsanti, in un modo che non sempre però riesco a ritrovare.
Ho preso tutto e l'ho trasferito sul mitico 'scaffale svedese', quasi unico mobile della nostra casa durante l'infanzia, su cui stavano i primi libri che ho letto nella mia vita.
E ho ritrovato anche un diario di mia madre, relativo ad anni precedenti a quello in cui sono nato.
E mi ha attratto a sè, per buona parte del pomeriggio.
Questa donna, prima di me: quanta malinconia, insoddisfazione, paura di vivere e di godere, inquietudine, speranza ed illusione...Da lì, da lei, sono nato.
Impressionante.

E poi ho dovuto, ancora una volta, provare a spiegare ad un amico che soffre, perchè mi sono allontanato anche da lui, come da tanti altri, proprio da quelli che rappresentano più intensamente il mio antico o recente passato. Da qualche tempo, forse sbaglio, ma sento che -se voglio provare a cambiare vita- devo liberarmi di quel che sono stato, dei miei ruoli, dei miei rapporti precedenti e delle loro forme.
Non è facile, neppure da dire, e -certo- da far accettare.
Voglio sentire cosa resta di me, senza quello che sono stato.
Voglio sentirmi come se fossi da solo, fare il vuoto.
So che non è così, e che non è possibile farlo davvero, totalmente.
Ma, dentro questa solitudine, capisco, forse, pian piano, chi e che cosa vorrò ancora incontrare, nuovo o vecchio, di nuovo e ancora una volta.
Tento di 'fare pulizia', fuori e dentro di me (sempre che esistano un fuori e un dentro), a costo che essa appaia come un 'far terra bruciata'.
Il rischio c'è, anche per me e per i miei rapporti, lo so, e lo vedo.
Forse alcuni li perderò per sempre.
Ma resto aperto al futuro.
Spero lo saranno anche gli altri, quelli che ho chiamato e che mi hanno chiamato 'amico'.
E se non sarà così, così doveva andare...

Un abbraccio
enrico

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