sabato 5 novembre 2011

sui fatti di roma, 15-31 ottobre

Devo dirvelo: alla terza macchina incendiata, ho girato canale.
Ai campionati mondiali di scherma, due atleti paralimpici si fronteggiavano a colpi di fioretto, dimenando goffamente il busto e le braccia, disperatamente ancorati ad una sedia a rotelle, che non permetteva loro ulteriori movimenti.
Ostaggi di sé stessi.
Si agitano tanto: si agitano i governatori e i banchieri nei loro G7,G8 e G20, alla ricerca di soluzioni (così dicono); si agitano gli 'indignati', con manifestazioni e cortei di protesta.
Ma, al momento, si confrontano due disabilità: quella del capitalismo protervo e boccheggiante e quella della tradizione democratico-pacifista, con i suoi rituali spenti e inadeguati.
Si prosegue, insomma, sulla strada di Genova: nessuna autocritica da entrambe le parti, nessun ascolto e cambiamento da parte di chi sta sopra, nessuna revisione delle pratiche di lotta da parte di chi sta sotto.
Intanto, in profondità, nella microfisica della vita quotidiana, una sostanziale collusione.

E, così come a Genova, come sempre, qualcosa riempie questo vuoto: la violenza aggressiva, nell'escalation fatale tra forze dell''ordine' (che non sono mai imparziali né ignare) e del 'disordine' (che non sono solo 100 ragazzi col cappuccio (delinquenti, teppisti, balordi...), o pochi 'compagni che sbagliano'; esiste un'ampia zona grigia, sia chiaro una volta per sempre...).
E' lo stesso processo che è in corso su scala mondiale: il terrorismo e la guerriglia tengono in scacco gli eserciti ed i governi; la popolazione civile (pacifica ?) sta in mezzo, a prender botte, bombe e schizzi da entrambi.
E sarà sempre più così, in un'escalation distruttiva senza fine, soprattutto se i 'pacifisti' continueranno a proporre 'Perugie-Assisi' o passeggiate romane; e a coprire la passività, infiorandola ogni tanto con dibattiti, eventi culturali, proteste simboliche.

Il sistema non è mai stato tanto debole, indipendentemente da noi, e rischia un'implosione catastrofica. In una fase come questa, potrebbe anche decidere, pur di sopravvivere, di farci fuori tutti, comunque, anche se ci organizzassimo diversamente e facessimo delle scelte di lotta diverse e più efficaci. Ma credo che sia sempre meglio essere sconfitti tentando il nuovo che continuando ad organizzare manifestazioni per i black bloc e i poliziotti, o per salvarci l'anima.

Si dice che ieri ci fossero 300.000 persone in piazza. Domando:
-esistono in Italia 30.000 persone disposte a compiere azioni nonviolente di disobbedienza civile, anche illegali (occupazioni, blocchi, sabotaggi...), e disposte quindi, eventualmente, a finire in galera ?
-esistono in Italia 300.000 persone disposte a compiere azioni nonviolente di non collaborazione attiva (boicottaggi di aziende e banche, obiezioni fiscali mirate...) ?
-esistono in Italia 3.000.000 di persone disposte a sostenere le forme di lotta di cui sopra e a programmare un'astensione pubblica e motivata per le prossime elezioni ?

Se non siamo capaci di andare a colpire i veri interessi dei nostri avversari (denaro e consenso-potere), se non siamo disposti a rischiare anche di perdere qualcosa per noi, non siamo all'altezza dello scontro in atto e, giustamente, non siamo credibili.
O la nonviolenza è 'un equivalente morale della guerra' o, semplicemente, non è.
O siamo capaci di compiere le nostre azioni nonviolente (e non banalmente 'non violente' ) con lo stesso grado di convinzione e radicalità con cui i black bloc, i kamikaze, i banchieri perseguono i loro interessi e le loro idee, oppure è del tutto inutile continuare a fare teatro.

Da tempo, attendo una risposta a quelle domande da parte dei movimenti in cui ho operato.
Ora l'attendo da voi, indignati.
Nell'attesa, continuo a stare -per una volta- alla finestra:a guardare sport, fuochi (cuochi) e fiamme in tv.

15 GIORNI DOPO...

In questi 15 giorni trascorsi dalla giornata di Roma, ho notato la grande discrepanza tra quel che si dibatte in rete e quel che si vede in tv e nei giornali: in questi ultimi, passata la prima sbornia anti-violenza, non si è detto più nulla su quel che accade nel movimento, ed in particolare in quello italiano. Tanto da far sembrare che non sia più accaduto nulla o quasi. E forse è anche vero, in termini d'azioni o iniziative pubbliche (ma forse qualcosa mi sfugge dal mio periferico osservatorio o per età o per pigrizia, che forse sono la stessa cosa...).
Però ho letto molte cose in rete, d'altro lato, anche davvero interessanti e belle, profonde e promettenti. Quindi, qualcosa si muove, direi, almeno a parole.
Non vorrei, però, che fosse 'solo a parole'.
Rispetto al mio appello, non ho ricevuto tante risposte, perlomeno rispetto alle mie richieste finali, quelle relative alle azioni possibili da compiere. Forse in molti hanno pensato che scherzassi ? O che fossero talmente irrealizabili e distanti, sconfortanti e in-credibili, da non meritare una risposta 'in solido' ?
Molti gli apprezzamenti, in generale: per l'analisi, la coerenza, la lucidità, ma niente più.
Provo allora qui a riprendere il discorso e a rilanciare, ripartendo anche dalle critiche ricevute.

FINESTRE
Perchè sto alla finestra ?
Perchè abbiamo saltato due 'finestre di opportunità' fantastiche e forse irripetibili:
  • la prima è stata il 1989 (perestroika, caduta del muro di Berlino, Tien an men...).
Si sarebbe potuto sostenere Gorbaciov ed si è preferito aiutare un ubriacone come Eltsin, Si sarebbe potuto sciogliere la Nato, ed è stata riciclata in Jugoslavia e Golfo Persico, nascondendola dietro l'egida ONU. Ci siamo commossi davanti alla piazza, ma l'apertura del mercato cinese al capitalismo era troppo invitante per rinunciare al tentativo di inglobarlo all'Occidente.
  • la seconda è stata il 2001 (G8 a Genova, 11 settembre...).
Si sarebbe potuto ascoltare i movimenti ed i loro contenuti di lavoro e di proposta e cambiare strada, e si è preferito andare avanti nel già visto, senza alcuna revisione, ma anzi irrigidendo e rafforzando il modello economico-finanziario liberista, senza neppure più provare a coprirlo con le retoriche del passato ('terzomondismo', 'riformismo', 'pacifismo'...), ma inventandone di nuove (guerra al terrorismo e per l'esportazione della democrazia, globalizzazione dei diritti, unione economica europea e superamento degli stati nazionali...). Per parte nostra, le esperienze dei Social Forum e di Rete Lilliput sono miseramente naufragate.
Dieci anni persi alle spalle, anche per responsabilità e limiti dei movimenti di allora e non solo dei loro avversari al potere (che, in entrambe le situazioni, erano comunque molto più forti, convinti e prepotenti di quanto non possano essere oggi).

Ora, infatti, pare presentarsi una terza finestra di opportunità ( l'ultima, almeno per noi ?): la primavera araba e nordafricana, la catastrofe economico-finanziaria in Occidente, il riemergere di conflitti sociali tra poveri e ricchi, inclusi ed esclusi, giovani e adulti-anziani, garantiti e non garantiti...
Ne sapremo approfittare ?
A veder quel che accade, ancora una volta, mi vien da dubitarne: la situazione in Egitto, sotto il controllo di una giunta militare; la guerra e il neocolonialismo petrolifero in Libia, ancora una volta ammantati di ONU e 'democrazia'; il non intervento verso Yemen e Siria; il gioco senza fine e senza uscita tra Israele e Palestina. Tutto sembra già visto, come in un gioco truccato, e di nuovo e sempre bloccato sulle solite logiche, alla faccia di chi lotta e prova a cambiare davvero le cose laggiù.

Ecco perchè, per una volta -a differenza che nelle altre due occasioni- me ne sto per ora alla finestra.
C'è però anche un altro motivo per cui lo faccio: perchè la mia generazione, e quelle ancora più 'passate' e 'cotte' della mia, hanno già perso i loro tram e le loro 'finestre' e non credo sia un bene proseguire ad infiltrarsi nei movimenti più giovani, a dare consigli, a fare i sapientini...
Per questo, mi sto limitando più che posso in questo, ed intervengo solo ( e non sempre) su richiesta, e solo se essa è convinta, ben motivata e convincente (per loro e per me).

(M) ANDARE IN TILT
Qualche giorno fa mi è arrivato, ad esempio, un invito dal Tilt-camp (che mi è piaciuto e credo che tra il 25 e il 27 novembre andrò a Pisa).

Quale atteggiamento vogliamo tenere rispetto alle nostre controparti politiche ?
Protestare perchè ci ascoltino ?
Illusioni.
Perchè ci ascolteranno e negozieranno solo se costretti (sempre che non vinca tra loro l'opzione militare anche verso di noi, che resta -a mio parere- la più probabile: vedi le dichiarazioni di Maroni sul 'terrorismo urbano' e quelle di Sacconi sul 'ci scappa il morto!', primi segnali di un'ipotesi di lavoro che certo qualcuno persegue e perseguirà, come sempre e con tutti i mezzi, palesi e occulti...)

Ma ipotizziamo che banchieri, mercati e ceto politico-professionale possano davvero diventare disponibili ad ascoltare e a negoziare con questi 'giovani che hanno ragione ad essere indignati', come dicono.
Quali sono le dimensioni di potere su cui possiamo contare se vogliamo giungere a costruire un'equivalenza e costringerle a negoziare ?
  1. il nostro ruolo di clienti-consumatori nel mercato economico
  2. il nostro ruolo di cittadini-elettori.
Niente di nuovo sotto il sole, ma credo sia giunto veramente il momento di provare a non collaborare, a defezionare, su vasta scala. Da qui le mie proposte operative del 16 ottobre.
Potranno certo esercitarsi anche forme più ampie e simboliche di protesta e mobilitazione, così come sono auspicabili azioni illegali (occupazioni, sabotaggi, hackeraggi, blocchi..); non le vedo, però, come il focus della mobilitazione, ma solo come atti di sostegno e di accompagnamento a pratiche diffuse di defezione. Stare fermi, praticare attivamente la passività, svuotare la conchiglia.

Per andare verso azioni di questo tipo la domanda di fondo è: quale atteggiamento vogliamo tenere rispetto ad un sistema che va in tilt ?
Tappare le falle, tenere in piedi alla meno peggio, scegliere il male minore, ridurre il danno ?
Mi rifiuto.
Dobbiamo far (m)andare in tilt quel che comunque andrebbe in tilt, ma in tempi più lunghi, senza il nostro attivo (anzi, passivo) contributo.
Sta anche a noi scegliere: tra catastrofe agita o subita, tra rivolgimento o palude.

L'anno accademico scorso migliaia di ricercatori, tra cui anche io, hanno tenuto in scacco per mesi l'istituzione universitaria, dichiarandosi indisponibili all'insegnamento.
Sapete perchè la defezione è rientrata ? Perchè davanti al rischio reale di far chiudere i corsi di laurea e perdere le cattedre la quasi totalità dei miei colleghi ha preferito riprendere a collaborare per 'senso di responsabilità' e 'per mantenere in vita l'Università pubblica'.
Io continuo a restare indisponibile perchè invece penso che dei corsi di laurea senza personale, senza risorse e senza prospettive (per sé e per gli studenti che laurea) deve chiudere.
E che ci siano 'responsabilità' più alte, etiche e politiche, di quelle che ci derivano dalla necessità di colludere e di co-gestire il disastro.

Ma siamo disposti a far chiudere, a far fallire, a paralizzare le 'nostre' istituzioni ?
Anche quelle che 'ci convengono' (perchè ci pagano, perchè ci teniamo i nostri risparmi, perchè ci compriamo il cibo, perchè ci sono simpatiche, perchè 'ci credevamo'...) ?
Siamo disposti a minacciare sul serio le 'nostre' banche, i 'nostri' luoghi di lavoro, le 'nostre' città mercato, le 'nostre' televisioni', la 'nostra' pubblicità, i 'nostri' parlamenti , i 'nostri' eserciti ?
Siamo disposti ad 'andare in default' con loro, a non pagare il debito, a rischiare di perdere anche noi quel poco che abbiamo per provare ad andare verso 'nuovi mondi possibili' ?
Che dicono gli indignati su questo ?

Se non faremo questo salto, resteremo necessariamente sottoposti al ricatto e alle minacce del 'sistema' , e – nonostante le nostre proteste e richieste- non ci considererà credibili -direi giustamente- , non inizierà neppure a negoziare con noi e, dopo un pò, non farà neanche più finta di ascoltarci.

Catastroficamente vostro
enrico

Cagliari, 31 ottobre 2011



























1 commento:

  1. sono d'accordo: m(andiamo) in tilt! siamo invischiati fino a tal punto che non è possibile persare che ci si possa semplicemente scrollare di dosso le banche. e poi salvarci dal default ci farebbe risultare ancora più invischiati. il problema è che in questo momento si vedono gli aspetti negativi di una default e non si riesce a vedere cosa di nuovo potrebbe nascerne. che tristezza: l'orizzonte neocapitalista sembra che pervada tutto!

    Laura

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